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Fucina Culturale Machiavelli
Come nasce un'impresa culturale?
04 April 2023
presso Online
Webinar
Teatro
Musica
Lo abbiamo chiesto a Sara Meneghetti di Fucina Culturale Machiavelli, realtà veronese che si occupa di teatro e musica.

Durante il primo webinar di Spazio Matre, abbiamo chiesto a Sara Meneghetti, co-fondatrice di Fucina Culturale Machiavelli, come è nata la loro realtà, tra quali difficoltà e grazie a quali competenze sono riusciti a dare vita ad uno dei progetti più riusciti nel Veronese.

Ciao Sara, da dove nasce l’idea di Fucina Culturale Machiavelli?

Abbiamo pensato di creare qualcosa insieme essendo tutti reduci da percorsi di studio diversi in ambito artistico. Siamo tre musicisti e io, che ho frequentato lettere moderne, e successivamente mi sono diplomata alla scuola civica Paolo Grassi, che nel mondo del teatro era l'unica accademia con un corso triennale in drammaturgia. Fatalità ci siamo diplomati tutti negli stessi anni e ci siamo ritrovati.

Mi sono ritrovata a chiedermi a chi avrei potuto mandare il curriculum per quello che avevo studiato e ovviamente la risposta è che non c’era e non c’è un vero luogo dove mandare i curriculum quando vuoi fare teatro. Ci siamo accorti che non c’era un luogo a Verona dove potevamo proporre le idee che avevamo e quindi ci siamo guardati e abbiamo deciso di costruirlo. L’idea era quella di dare vita ad una realtà che prendesse come modello i teatri europei.

Vi occupate di teatro ma anche di musica. Di che cosa si occupa quindi Fucina?

Di fatto il logo di Fucina al suo interno ha quattro semi, il nome “Fucina Culturale Machiavelli" nasce sia dall’idea di fucina come fuoco al cui interno si agitano cose che poi vengono alla luce, in cui le idee si forgiano, sia da Machiavelli, il gioco delle carte, l’idea è quella che solo mescolando i semi e le carte possano nascere nuove idee, sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista delle arti, ci piaceva l’idea di mettere in dialogo tra di loro diverse discipline e quindi ci sono i cuori che sono il teatro: gestiamo un teatro quindi la nostra attività più evidente è quella di apertura di questo teatro che ha una rassegna invernale e una di spettacoli per bambini domenicale che ha al suo interno anche dei corsi teatrali e musicali per bambini, ragazzi e adulti.

Poi c’è il seme dei fiori che è quello della musica: abbiamo un’orchestra d’archi stabile che si è evoluta nel tempo, inizialmente si chiamava Orchestra Machiavelli, poi abbiamo deciso di ridurre e rendere più malleabile l’organico e adesso il nome è Fucina Harmonica e l’ensemble è di diverse dimensioni a seconda del tipo di concerto e di progetto che si sviluppa, dai due ai venti elementi. Fucina Armonica che è l’anima musicale di Fucina, gestisce diverse rassegne, una all'interno di Fucina, una in un’altra sala prestigiosa della città che è la Sala Maffeiana, gestita dall’Accademia Filarmonica che ci ha ospitato e sostenuto in realtà dai primi anni dopo la nostra nascita. Anche loro fanno parte delle istituzioni che si sono messe in ascolto, pur avendo 500 anni di storia.

Gli altri due semi sono per la parte di formazione e per le attività dedicate ai bambini. Da un paio di anni abbiamo iniziato a rimescolare le carte, facendo dialogare musica e teatro, esplorando le nuove tecnologie dando vita a nuovi progetti di teatro virtuale: l’ultima produzione che stiamo mettendo in piedi è teatro e cinema a 360 gradi. Stiamo differenziando molto le attività.

Tu hai studiato a Milano, che è un po' la Mecca di creativi e artisti, perché la decisione di tornare a Verona e di restare a Verona e non sfruttare i contatti che, immagino, ti eri costruita in tre anni?

E’ un’ottima domanda, in realtà la scelta era già stata fatta, avevo trovato l’amore a Verona, avevo trovato la persona con cui volevo costruire una famiglia.

Durante gli anni alla Paolo Grassi ho vissuto a Milano durante la settimana e il weekend rientravo a Verona, precludendomi la vita teatrale e sociale milanese che comunque è per fortuna molto ricca anche dal lunedì al venerdì. Quindi sì, è vero, sarebbe stato forse più facile rimanere a Milano, una città ricca di opportunità però di contro anche molto competitiva e quindi lavorare a Verona aveva anche dei vantaggi. Qui non c’era niente di simile e infatti quando abbiamo aperto la città ha risposto molto bene.

Da dove siete partiti? Una volta presa la decisione, qual è stato il primo passo?

Prima di tutto acquisendo delle competenze, perché come dicevo, noi veniamo tutti da formazioni artistiche e non avevamo nessuna competenza gestionale, e questa è stata la prima mancanza che abbiamo voluto e dovuto colmare. Dovevamo elaborare un progetto che stesse in piedi economicamente.

Lì, io ho avuto la fortuna di trovare un corso riguardante lo sviluppo di idee di impresa a partire da un business plan per poi arrivare a svilupparla.

Quello è stato il mio primo percorso di formazione in questo ambito, poi a quello se ne sono dovuti aggiungere molti perché le competenze che ci servivano erano varie.

Io comunque nel frattempo avevo trovato un altro lavoro nel settore del marketing per un’impresa IT, mentre Stefano, socio e partner sia di vita che di Fucina, aveva trovato lavoro nel settore commerciale, come agente di commercio. Quindi entrambi abbiamo vissuto il mondo dell’impresa come dipendenti, in prima persona, ma soprattutto entrambi abbiamo sviluppando determinate competenze: io mi occupavo di comunicazione, grafica, sviluppo web, quindi avevo le competenze per gestire le operazioni di back-office, mentre lui aveva imparato a trattare con le persone, sapeva dialogare con una banca o un ente pubblico presentando quella che era la nostra idea. Questo ci ha molto agevolato.

Nel concreto quindi abbiamo iniziato a stendere un “business plan”, ancora non sapevamo che quello che stavamo facendo era in realtà il “business model”, abbiamo imparato successivamente la differenza fra i due strumenti.

Proviamo a spiegare la differenza tra “business model” e “business plan”.

Prima di tutto serve dire che sono entrambi degli strumenti che servono per dare forma ad un’idea di impresa. Il “Business Model” serve a delineare il progetto, la “Unique value proposition”, cioè il quid che rende il progetto unico: cosa stai proponendo al mercato, qual è il tuo mercato, chi è il target di riferimento, quali sono le persone con cui parlerai. Il “Business Plan” si focalizza soprattutto sulla parte economica del progetto, quindi entrate e uscite, capitali di partenza e possibilità di guadagno per sostenere le spese.

Usi il termine business ma Fucina nasce come associazione culturale.

Uso la parola “business” perché quello che noi stiamo facendo è cercare di creare un'impresa culturale, anche se siamo non profit. È un concetto che contiene all’interno una contraddizione in termini, il termine impresa è associato normalmente a un’impresa “for-profit”, quindi ad un progetto che ha bisogno di un investimento iniziale che, una volta ammortizzato, permetta di generare profitti per i soci al netto delle spese. L’associazione culturale invece non ha tra i suoi obiettivi quello di generare profitti che vengano distribuiti tra i soci; tutti gli utili (quando ce ne sono), vanno reinvestiti in attività istituzionali che sono le attività che si scelgono da statuto, come attività principali alle quali l’associazione vuole dedicarsi: solitamente si tratta di attività di carattere culturale, sociale o, al massimo, di creazione di lavoro. Noi stiamo cercando di utilizzare gli strumenti che sono solitamente utilizzati per costruire e gestire imprese for-profit, per costruire e gestire servizi e con una struttura e del valori tipici del non-profit.

Quali sono stati gli step che vi hanno portato ad aprire Fucina Culturale Machiavelli?

Prima di tutto abbiamo creato questa associazione culturale, abbiamo cercato uno spazio, dopo varie vicissitudini ne abbiamo trovato uno, lo spazio in cui siamo tuttora in affitto (all’inizio l’accordo di affitto era a serata). Lo spazio ora lo utilizziamo per tutta la settimana, oltre agli spazi per le esibizioni abbiamo i nostri uffici. In accordo con la proprietà, con la quale abbiamo un ottimo rapporto, negli anni abbiamo apportato numerose migliorie.

Successivamente abbiamo iniziato a cercare i fondi per realizzare quelle che erano le nostre idee ed è stato lì che ci siamo scontrati con la dura realtà del “ok, se non avete niente con cui partire sarà difficile che otterrete qualcosa”.

Eravamo davvero convinti che il progetto potesse funzionare e business plan alla mano abbiamo deciso di fare un investimento personale. Abbiamo iniziato a girare di banca in banca finché non abbiamo trovato una direttrice che ha creduto nella nostra idea, anche se ci ha dato un consiglio curioso: “Ragazzi alla finanziaria, per favore, non presentate l’idea di un'impresa culturale, ma dato che siete giovani sposini presentate la domanda per arredamento di casa”.

Grazie a questo primo prestito e ad un ex insegnante di violino che ci ha dato un aiuto senza che l’avessimo chiesto, siamo partiti. Alla fine del primo anno abbiamo ottenuto i primi sostegni istituzionali per colmare i fisiologici buchi di bilancio del primo anno.

Qual’è la caratteristica fondamentale per costruire una realtà come la vostra?

Di sicuro è la determinazione, che dipende dall'obiettivo, e il nostro obiettivo era ed è tuttora vivere di arte. L’idea di poter creare un luogo dove la cultura potesse creare valore ma anche economia, questa era un pò la visione iniziale. Io per i primi quattro anni ho continuato a lavorare in azienda, perché Fucina non poteva permettersi di pagarmi uno stipendio e quindi lavoravo per 30 ore settimanali in ufficio e le restanti 30/40 ore, che mi permettevano le mie forze di ventiseienne, lavoravo per Fucina. Abbiamo retribuito fin da subito i musicisti, gli artisti, gli attori, i professionisti che hanno lavorato con noi, finché a un certo punto il progetto è talmente cresciuto che avevamo bisogno di dedicare tutto il nostro tempo a Fucina.

L’altro aspetto fondamentale è sicuramente una visione e volontà di portarla avanti, avendo chiare quali sono le priorità: io in quel momento avevo chiaro che il mio tempo, le mie energie potevano essere dedicate a quello anche se non avevo un ritorno economico immediato. Quattro anni possono essere lunghi, dal sesto anno però questo è il mio lavoro e ho aperto un mutuo anche grazie alla busta paga di Fucina Machiavelli.

Che consiglio daresti, dopo 8 anni, a qualcuno che vuole iniziare un’attività simile a quella che state portando avanti voi?

Consiglierei di costruire una squadra affiatata, due o tre persone con le quali condividere obiettivi e soprattutto valori. Le skills, i capitali iniziali sì possono essere importanti, ma ci sono momenti fondamentali in cui si devono prendere delle decisioni, che possono rivelarsi giuste o sbagliate, ma se i valori alla base di queste scelte sono condivisi, saranno comprese da tutta la squadra.

Nel mio caso devo dire sono stata molto fortunata perché sentivo spesso dire “No, lavorare insieme al proprio partner di vita non è possibile”, nel nostro caso, le differenze tra di noi sono state una ricchezza. Per noi è una grande soddisfazione avere tre dipendenti. Poi per essere sinceri bisogna dire che se la priorità è un reddito di un certo livello questa non è la strada, non mi sentirei assolutamente di consigliarla, però se invece la priorità è fare della propria passione il proprio lavoro, questa sicuramente è una possibilità.

Un altro consiglio che posso dare è costruire la squadra in modo da compensare le skills che servono a gestire il progetto. Trovate qualcuno che si occupi di fundraising, o sviluppate capacità di parlare del vostro progetto appassionando chi vi ascolta. Questa è l’unica vera chiave per trasmettere il valore della cultura anche a chi proviene da mondi lontani.